Una delle cause della mancanza di crescita della lettura è la scarsa possibilità di creare un’atmosfera favorevole al libro.
La scuola e l’università dovrebbero assumersi una responsabilità specifica in questo senso.
Non so quante volte ho letto ai miei studenti le pagine conclusive dell’Educazione sentimentale di Flaubert. Ho tanto spesso usato quel finale, per certi versi incredibile e persino misterioso, perché mi sembra capace di creare una particolare atmosfera e di dar luogo, almeno fra i giovani, alla possibilità di attivare un gioco di allusioni e di rinvii che accomuna vita, libri, emozioni e riflessioni in una stessa trama. Dal momento in cui il narratore fa sapere ai lettori che i due uomini ai quali allude sono falliti entrambi, sia quello deciso a trovare l’amore sia quello desideroso di ottenere il successo e il denaro, si crea, tra il libro e chi, giovane di età, ne sente oggi leggere queste pagine, una strana complicità. E i libri hanno bisogno di lettori complici.
Quando, come accade da noi, a un processo di alfabetizzazione fondato su vari strumenti (si pensi alla rivoluzione operata trent’anni fa con la creazione della scuola media unificata) non corrisponde una coerente crescita della lettura, del consumo di libri e di giornali (perché gli indubbi progressi non si collegano all’impegno profuso), allora occorre guardare ad altre possibili cause.
Un’atmosfera ostile
Una di queste cause a mio avviso fondamentale, è proprio quella che scaturisce dalla scarsa possibilità di creare un’atmosfera favorevole alla lettura. Penso, per esempio, al clima immaginario che si percepisce in tanti eccellenti salotti, proprio i diretti discendenti di quelli in cui nell’Ottocento si leggevano e si commentavano i libri appena usciti, o di quelli in cui, in tempi anche recenti, si discorreva molto di libri. Oggi, nei salotti, si parla soprattutto di viaggi, poi di televisione, poi dei personaggi della televisione, visti però nella vita, e di cose di questo tipo, ma molto raramente risuona la domanda: «Avete letto il libro di…?». Tanto i “lettori operai” cari a Cesare Cantù, quanto i maestri di scuola o le sartine tutte prese dai “Rosa Salani” oppure i nottambuli della mia città che andavano ad attendere l’arrivo delle prime copie del “Resto del Carlino” erano un tempo i propagatori di una benefica malattia e, certamente, anche i creatori (insieme ad altre categorie di lettori) di quell’atmosfera in cui i libri stavano come immersi.
Oggi, naturalmente, tutti gli strumenti di comunicazione diversi dal libro concorrono aggressivamente alla creazione di un’atmosfera ostile al libro e, in ogni caso, impediscono che si ritrovi quel certo clima. L’università, e le facoltà umanistiche in particolare, dovrebbero assumere una specifica responsabilità in questo senso. Non si è mai sicuri che un alfabetizzato sia anche un lettore, infatti. Sono soprattutto i tempi universitari, così restrittivi nei confronti della didattica, a impedire che si realizzino le atmosfere adatte a far crescere nuovi lettori. I tempi sono rimasti, da noi, quelli di sempre: un ciclo di lezioni, colloqui per discutere di programmi e di tesi, esami. Mancano del tutto le occasioni informali, quelle in cui si possa davvero discutere, in gruppi necessariamente non molto numerosi, di quel libro, di quella collana, di quel certo autore.
Mi è anche accaduto di notare che il culto della lettura, con l’attivazione di specifiche atmosfere, sta rinnovandosi in certe famiglie e in certe scuole medie, dopo che sono nate nuove collane, come la “Gaia Junior” Mondadori, per esempio. E un culto che mostra anche aspetti preoccupanti: l’emarginazione a cui vanno incontro i non lettori, nelle classi in cui si legge molto, assomiglia a quella voluta dall’antico sistema delle caste in India. Del resto, per creare l’atmosfera, non mi sembrano più utili e neppure opportuni quei tentativi, che un tempo mi hanno affascinato, di “animazione del libro” a cui qua e là ci si dedica ancora. Per come la vedo io, attualmente, ogni “animazione” rischia di risultare dominata dal nemico, ovvero costretta suo malgrado a finire nel calderone collettivo in cui, dalla pseudo-satira televisiva a quella giornalistica, è tutto un abbracciarsi, stuzzicarsi, giocherellare, sempre con le stesse figure retoriche e con le stesse modalità linguistiche.
Il tempo e i corsi per leggere
Pennac, nel suo libro Come un romanzo dice che, in teoria, non si dovrebbe né si potrebbe mai trovare un «tempo per leggere» e neppure un «tempo per l’amore», si trova però sempre il tempo per fare ciò che si desidera fare davvero. Così si legge nella metropolitana, quando si vuol proprio leggere.
Una modesta proposta si riferisce alla mia esperienza di professore universitario. Vorrei che fossero create alcune cattedre di Pedagogia della lettura (proprio con questa denominazione) che dovrebbero fare corsi riferiti all’atmosfera a cui sto alludendo. Ci dovrebbero essere corsi monografici sulle “fortune” di certi romanzi e di certi saggi nell’immaginario collettivo. Un corso, per esempio, teso a spiegare perché Via col vento o Il nome della rosa sono stati tanto letti. Oppure un corso dedicato a certe figure assolutamente proverbiali scaturite dalle pagine dei libri: da Don Abbondio al bieco Javet dei Miserabili. O anche un corso dedicato alle copertine dei libri: da Longanesi a Tabet, per esempio. Questo perché la fisicità del libro mi sembra ancora una delle risorse maggiori per creare l’atmosfera.
Dato che non sono un “apocalittico” e amo la televisione come il cinema o i fumetti (non amo chi spreca gli strumenti del comunicare) avrei in mente un’altra modesta proposta. Affiderei un programma di Pedagogia della lettura (questo potrebbe anche valersi di un’altra denominazione) a Garrani e a Mirabello che, attualmente ammiro come conduttori di Mi manca la parola. Credo che saprebbero davvero riportare, al video, le vecchie delizie dei maestri e dei professori di un tempo, che soppesavano i volumi prima di aprirli, che li annusavano (ogni bibliomane lo è anche in senso olfattivo), che li porgevano come si fa nel contesto di un rito. E l’atmosfera potrebbe perfino scaturire dal medium considerato nemico. Fra i pompieri che bruciano i libri si annidano futuri lettori, come dicono Bradbury e Truffaut.