Ho programmato questo pranzo da mesi. Pochi invitati, un passaparola sussurrato segretamente tra i pochi appartenenti alla setta Adoratori della Cucina Libica e l’attesa, finalmente è terminata. Suoniamo al campanello del bellissimo palazzo nel pieno centro di Frascati e già dalle scale si sente odore dei mercati nordafricani e mediorientali. La mia mente si riempie d’immagini viste nei documentari: una gamma straordinaria di colori, il chiasso di centinaia di voci e l’odore di spezie: infinite distese di polverine magiche.
Al quinto piano senza ascensore ci arriviamo un po’ ansimanti, il resto della setta ci sta aspettando. Sul mobile vicino al tavolo apparecchiato c’è del vino bianco, una ciotola con dell’humus e un’altra colma di babaganoush (quello con la Taina).
In cucina, Corinna Cesaroni El Jerbi armeggia con il cous cous, lo sta inumidendo e lavorando a mani nude, a breve lo metterà a cuocere a vapore sulla pentola nel quale bolle il sugo con patate, zucca e carne. Affaccio il muso su un’altra pentola. Un brodo liquido, rossastro, ospita pezzetti di carne, qualche cecio, pastina, prezzemolo, cipolla e c’è odore forte di ararat: è la divina Sciorba, la zuppa che in Libia mangiano quasi ogni giorno ma che per me rappresenta una sorta di pasto sacro, un rito annuale di passaggio.
Ci sediamo in tavola. Mangiare arabo vuol dire avere limone tagliato in pezzi a lato di ogni piatto, vuol dire sentire il palato riempirsi di sapori particolari e persistenti, vuol dire, a volte, usare le mani al posto delle posate, come per le fritelle di patate ripiene di carne.
L’ultima portata arriva in tavola provocando l’agitazione dei commensali. Sono piccoli involtini verdi ripieni di riso, prezzemolo, cipolla e carne ma noi tutti sappiamo che lì dentro c’è molto di più. Ci sono cinquanta anni vissuti in una terra straniera e non sempre ospitale, c’è il disagio per una giovane sposa italiana, poi madre, di lasciare il proprio Paese per amore del marito, Nosrat, e seguirlo nel suo mondo per ricominciare da capo.
C’è l’impegno quotidiano ad imparare tutto di una cultura così distante, di una religione che non ti appartiene, degli usi e costumi di chi non ama le “stranezze” degli altri ed essere felice nonostante tutto. In quello che stiamo mangiando c’è tutto questo e si sente.
Chiedo a Corinna di svelarmi il segreto di quest’ultimo piatto, gli Abrak, lei mi accontenta. Per me è come avere un po’ di questa storia meravigliosa tra le mani da trasformare in tradizione. Eccola:
ABRAK (Involtini di foglie di vite)
Di Corinna Cesaroni El Jerbi
Indice
INGREDIENTI
900g di tritato di vitella
300g di Riso
1 barattolo di foglie di vite
2 mazzi abbondanti di prezzemolo
2 mazzetti di cipolline fresche
1 cipollina bianca
olio
ararat
Peperoncino piccante possibilmente verde
Sale
Pepe rosso
Pepe nero (solo un pizzico)
1 cucchiaio e mezzo di concentrato di pomodoro
L’Ararat è una miscela di sette spezie molto usata in Libia e in alcuni paesi del Medio Oriente. In Italia è oggettivamente difficile da trovare ma necessaria per la realizzazione di questa ricetta. Segue l’elenco delle spezie in polvere che la compongono, potreste provare a realizzarla da soli: cannella, noce moscata, cumino, coriandolo, peperoncino rosso in polvere, pepe nero, zenzero.
PREPARAZIONE
Per l’impasto
Tritare prezzemolo, cipolline (utilizzando anche un po’ del gambo verde), la cipolla e condire con ararat*, peperoncino verde piccante, pepe rosso e pepe nero.
Unire la carne tritata, il riso precedentemente bollito in acqua salata e il concentrato di pomodoro. Mescolare bene.
Scolare le foglie di vite e bollire in caso fossero troppo spesse.
Farcirle con il composto e arrotolarle a mo’ di involtini facendo attenzione che siano ben chiusi.
In una pentola mettere una base di foglie di vite, gli abrak uno sull’altro e un ulteriore strato di foglie sulla cima. Aggiungere olio e un bicchiere d’acqua.
Quando l’acqua bolle, abbassare la fiamma al minimo e lasciar cuocere per almeno un’ora. Si consiglia di assaggiare per stabilire il giusto termine della cottura.