Le finalità e gli obiettivi precedentemente esposti ed analizzati sono difficilmente compatibili con le attuali concezioni e modalità di gestione dei tempi e degli spazi didattici nell’insegnamento della filosofia.
Noi chiediamo ai nostri allievi che imparino a riconoscere i problemi filosofici, a comprenderli, a discuterli razionalmente, a valutarli, eventualmente a risolverli attraverso la riflessione, il ragionamento argomentato, la comunicazione dialogica con gli altri, ma spesso non ci rendiamo conto che sottraiamo loro il tempo e lo spazio opportuni e necessari per realizzare queste attività. Il tempo nelle nostre classi è scandito rigidamente secondo la logica della passiva subordinazione allo svolgimento quantitativo dei programmi ministeriali. Questo è un tempo senza soste, rapido, travolgente nell’attraversare gli orizzonti storici della tradizione filosofica. Le ore per le “spiegazioni” si alternano alle ore per le “interrogazioni” in una dimensione di sostanziale superficializzazione degli eventi didattici ed educativi, che, a volte, si realizzano in modo impoverito. Le aule possono qualche volta essere vissute come dei supermarkets, in cui si aggirano dei compratori distratti, che osservano senza molta partecipazione ed eventualmente sono disposti a comprare qualcosa in modo quasi occasionale.
In uno scenario didattico di questo genere, l’offerta educativa si caratterizza come superficiale, esteriore, frammentaria, e l’insegnante di filosofa come un patetico “piazzista” di merce un po’ fuori moda, di singole “cianfrusaglie” del mercato della cultura. In un simile contesto un insegnante “oracolare” o uno demotivato produrrebbero lo stesso effetto. Sia in un caso sia nell’altro il tempo del rapporto didattico verrebbe vissuto ed organizzato come un tempo lineare esterno, quantitativo, che misura e contiene l’azione della trasmissione di un sapere, che ha come unico riferimento colui che parla e la presunta autorità dei testi, ignorando la realtà storico-esistenziale degli allievi, la loro identità, i processi cognitivi ed affettivi da cui essi sono attraversati, la dimensione relazionale e comunicativa del gruppo-classe. L’insegnamento che si svolge in un contesto del genere è indifferente ai tempi e agli spazi in cui sono coinvolti i soggetti reali dell’evento educativo.
I fattori e le variabili del processo di insegnamento-apprendimento, per tradursi in possibilità reali di promozione di quell’avventura programmata che è la relazione educativa, hanno bisogno di un tempo più dilatato, più lento, che permetta gli incontri tra le offerte educative e gli orizzonti storico-esistenziali, culturali, cognitivi ed emotivi, con la storia peculiare dei singoli studenti e dell’intero gruppo classe.
Si configura un’asimmetria tra i tempi didattici attuali e i tempi reali richiesti dalle esperienze di apprendimento degli allievi. Noi docenti spesso ci uniformiamo ad un modello di gestione del tempo che neutralizza e sterilizza la vitalità delle occasioni di apprendimento, nella misura in cui le depriva della partecipazione personale, della ricchezza dell’esperienza collettiva del confronto, della discussione, della ricerca, della comunicazione. La standardizzazione, su livelli negativi, del rapporto educativo si può attribuire alla schizofrenia del duplice e contraddittorio messaggio che noi insegnanti di filosofia mandiamo ai nostri studenti: chiediamo loro di riflettere, di pensare, di imparare a ragionare, a valutare e a scegliere con responsabilità, ma, nello stesso tempo, con il nostro comportamento didattico noi non diamo loro il tempo e gli spazi necessari per riflettere, argomentare, pensare, discutere.
Questo atteggiamento dei docenti risulta oggettivamente difensivo, in quanto consente loro di liberarsi dal pesante onere della promozione degli apprendimenti negli studenti, limitandosi ad una generica trasmissione del sapere. Su quello che accade alle parole quando sono ormai “fuori delle labbra”, spesso i docenti preferiscono non interrogarsi.
Nella didattica tradizionale la gestione del tempo è omologa ad una prassi di insegnamento che relega l’autentica esperienza di apprendimento, le dinamiche cognitive ed emotive che la sottendono, “negli angoli marginali e subalterni della vita scolastica” 1.
Così facendo l’apprendimento della filosofa e del filosofare viene rinviato ad un tempo e ad uno spazio affatto individuale dentro e fuori la classe, in una dimensione di isolamento, impoverita. La tensione alla ricerca, alla problematizzazione, alla riflessione e alla discussione razionale difficilmente può realizzarsi al di fuori di un contesto relazionale, in cui si renda possibile uno scambio comunicativo, che coinvolge tanto elementi cognitivi quanto affettivi e sociali 2, Nella relazione educativa si rende possibile una comunicazione intersoggettiva dialogica, in cui ciascun allievo faccia l’esperienza della definizione delle proprie idee attraverso il confronto con gli altri e il controllo della discussione razionale.
Lo stile didattico isolante 3 si coniuga con una concezione nozionistico-enciclopedica del sapere e con una svalutazione di fatto dei processi di rielaborazione-ricostruzione personale e di gruppo delle informazioni apprese in classe da parte degli allievi, emarginati nella casualità dei tempi gestiti individualmente.
L’insegnante di filosofia non può soltanto esporre informazioni e conoscenze, ma deve promuovere, nell’alunno, l’acquisizione di competenze, di strutture cognitive e di abilità necessarie per la elaborazione delle conoscenze e delle informazioni che questi riceve, dare loro senso e integrarle nella storia dinamica e conflittuale del libero sviluppo della personalità.
Esiste certo una dimensione individuale, personale della riflessione e dello studio, ma pur sempre complementare di un’esperienza educativa che, strutturalmente, si costruisce nella relazione comunicativa in classe. Le occasioni strutturate di apprendimento, guidate e programmate dal docente, il confine-contesto rappresentato dalle complesse dinamiche del gruppo-classe, con il conflitto cognitivo che esse producono, costituiscono elementi insostituibili del processo didattico-educativo.
L’atmosfera della classe, in un simile contesto, diventa realmente poco comunicativa, povera di tensione intellettuale: in essa la relazione educativa non può essere ritenuta una risorsa. Allo stile didattico isolante praticato in classe, solitamente corrisponde una condotta individualistica dei docenti nella programmazione e nella conduzione dell’attività didattica nelle singole classi. Le forme di collegialità divengono spesso prive di reale contenuto, riti alquanto superficiali e burocratici, in cui le singole esperienze dei docenti difficilmente si incontrano e si confrontano su problemi didattici di sostanziale importanza, dialogando per una comune elaborazione progettuale, una gestione e una valutazione, solidali, dei processi didattici nelle proprie classi. Si rischia così di offrire un sapere parcellizzato, in frantumi, diviso tra una molteplicità non coordinata e, a volte, gerarchizzata di ambiti disciplinari, spesso in conflitto tra di loro.
L’insegnamento della filosofia, in questo quadro, difficilmente può promuovere l’apprendimento del filosofare. Si configura infatti come un insegnamento centrato sui contenuti, che svaluta la dimensione “metacognitiva” dell’apprendere a filosofare. L’acquisizione dei contenuti è insufficiente se non è sostenuta da una appropriazione consapevole non solo delle strutture epistemiche, del lessico, delle categorie, del modello di razionalità, dei luoghi argomentativi tipici del linguaggio filosofico, ma anche delle abilità, degli atteggiamenti che ne sono costituivi e che soli consentono il dominio dei processi di elaborazione razionale delle informazioni, della riflessione e della discussione, razionali, dei problemi, della valutazione personale e della scelta autonoma. Non è necessario solo acquisire il sapere filosofico già elaborato, ma bisogna anche apprendere a costruire, a produrre riflessione e idee filosofiche nella quotidianità della propria vita.
Il “tempo interno” dell’attività filosofica in classe
Il tempo “rapido”, quantitativo, esteriore, della attività didattica tradizionale, inadeguato alla realizzazione di autentiche esperienze di apprendimento, mentre “neutralizza” e cancella le differenze 4 rende impossibile un autentico incontro della piccola comunità filosofica, costituita dalla classe, con i testi filosofici e con le esperienze del “con-filosofare”.
Centrale nel processo di insegnamento-apprendimento del filosofare è l’instaurarsi di una libera comunicazione filosofica, razionale argomentata, in cui la classe e il docente possano comprendere, discutere e valutare i problemi filosofici. E caratteristica della didattica filosofica produrre una comunicazione, ricca di senso, mediata dall’incontro con i testi 5. Le operazioni in classe da svolgere nella lettura e nella discussione-interpretazione del testo filosofico, devono avvenire in un contesto di interazione dialogica libera dal dominio, democratica, in cui ciascuno nella piccola comunità scolastica, si senta insostituibile e prezioso. La comunità di ricerca che si dovrebbe instaurare nell’ambito dell’esperienza dell’incontro con i testi filosofici, in cui si impara a discutere e ad argomentare, a valutare e a criticare, non potrebbe mai essere seriamente ed autenticamente costituita in condizioni dominate dalla tirannia del “tempo rapido”, che può invece soltanto legittimare processi superficiali e meccanici, conformistici e sbrigativi. Un tempo del genere è fatto per perpetuare l’estraneità all’esperienza scolastica da parte degli allievi, un tendenziale atteggiamento da “io minimo” 6. Spesso gli studenti si guardano bene dal farsi coinvolgere emotivamente in classe, dall’esporsi autenticamente; sono invece presenti solo superficialmente, rimanendo alquanto “esterni” alla relazione educativa, anche se poi mettono in atto comportamenti accettabili, da studenti diligenti, bravi, anche competitivi.
L’incontro con il testo filosofico ha bisogno di tempi dilatati, che non possono essere scanditi che secondo i ritmi con cui ciascuno riproduce dentro di sé le riflessioni, i pensieri, le argomentazioni dell’autore e li concettualizza, li comprende, li analizza, li sintetizza, li valuta. I ritmi adeguati sono quelli con cui ciascun componente del gruppo-classe è in grado di esporre, mettendo ordine tra le sue emozioni, tra i suoi pensieri, tra la complessità degli elementi compresenti nel suo “spazio interno”, costringendo negli argini della logica, del discorso sequenziale le componenti ambivalenti o contraddittorie della propria riflessione. È il tempo della “durata” interiore, di una pausa in cui ciascun lettore-interprete raccoglie la pluralità delle esperienze, delle cognizioni e delle emozioni e opera una ristrutturazione-rielaborazione del proprio patrimonio cognitivo e affettivo, “ritagliando” nuovi confini nel suo spazio interno, producendo nuove strutture cognitive, nuove idee, in un processo di continua reidentificazione 7. Egli si sottrae alla prigionia del “tempo ordinario”, esteriore e quantificato e si concede, nello stesso tempo, l’immersione nel passato per precostituire e progettare un futuro.
La pausa della riflessione, mediante cui ciascun allievo si immerge nel “continuum” del flusso del proprio presente, non è l’attimo istante, ma uno spazio delimitato entro cui sono contenute esperienze passate, proiettate verso il futuro, entro cui intraprendere un viaggio, in cui i linguaggi logici, analogici, alogici, emotivi della propria interiorità partecipano alla elaborazione di nuove idee e nuove immagini. La pausa della riflessione si inserisce nello spazio trinitario del presente 8 (presente passato, presente presente, presente futuro). La riflessione filosofica implica una temporanea uscita dallo scorrere del tempo cronologico, una relativa sospensione delle certezze, un “galleggiare” nel dubbio, un’immersione nel proprio mondo interno, una scomposizione-ricomposizione delle idee già possedute. Sono costitutive del filosofare la comprensione e la capacità di analisi, ma anche la fluidità e la elasticità nel pensare, il rigore logico e la fantasia, la capacita critica e la creatività. La riflessione filosofica deve conoscere i momenti di discontinuità, di “mutamento catastrofico”, nella elaborazione di idee al di là del già detto.
Nella didattica tradizionale della filosofia il tempo appare troppo curvato verso il passato, senza aprire eccessivi spazi verso il futuro: proprio quegli spazi che sono il prodotto della libertà, della creatività, della innovazione, della ridescrizione delle forme della vita, dell’esercizio dell’autonoma responsabilità umana. Prevale il tempo che neutralizza l’originalità, che elimina le differenze e le peculiarità di ciascuno, che omogeneizza e standardizza, che costringe all’approssimazione e alla superficialità nel promuovere apprendimenti, nel valutare: un tempo che consente solo di adagiandosi su operazioni didattiche “routinizzate”, scientificamente discutibili noiose e poco motivanti.
Non solo è vero che gli studenti hanno tempi diversi per collegare le nuove conoscenze alla struttura cognitiva preesistente 9, ma bisogna altresì considerare che i concetti e le idee si formano anche nello scambio con gli altri. Tanto il confronto in piccoli gruppi, quello dei vicini di banco, quanto quello nel gruppo allargato della classe sono importanti per promuovere nei discenti la elaborazione di proprie idee, la identificazione con esse e il loro esame critico. Il tempo è importante per legittimare le proprie idee con argomenti, per esaminarle nella loro coerenza interna, nei presupposti, nelle implicazioni, per coglierne eventuali vuoti, lacune, incoerenze e per rivederle, tenuto conto degli errori.
Quando poi le idee si sono timidamente formate, ordinate e sono pronte per la cristallinità del ragionamento logico, sequenziale e argomentato, allora nasce il problema di esporle e comunicarle agli altri del gruppo classe, discutendone con loro. Anche da un punto di vista didattico questo è un problema, perché la realizzazione delle condizioni sia per una comunicazione rassicurante, produttiva, tollerante, dialogante, strutturante sia, nello stesso tempo, per mantenerne con una certa costanza l’efficacia, è impossibile senza la costruzione di uno spazio relazionale autentico, ricco di motivazioni, di interessi, di curiosità. Il filosofare che nasce dal desiderio e dalla tensione alla ricerca della verità, che si nutre della discussione dialogica, non antagonistica e non autoritaria, sarebbe soffocato sul nascere in presenza di un’eccessiva rigidità ed esteriorità dei tempi didattici.
Non si può continuare ad insegnare “malgrado” la concreta umanità dello studente, sorvolando sulla complessità dei processi cognitivi, affettivi, sociali, che andiamo a promuovere. Non si possono chiedere il coinvolgimento, la partecipazione degli studenti alla realizzazione dell’evento educativo e poi soffocarne la emergenza con un comportamento didattico che si orienta verso traguardi indipendenti, del tutto o in parte, dai percorsi interni dell’allievo.
Correlazione tra tempo e spazio nella didattica della filosofia
La concezione relativistica di un tempo assorbito all’interno della curvatura dello spazio quadridimensionale è stata sviluppata anche nelle sue valenze umano-esistenziali 10. Fuori di una nozione meramente geometrica, lo spazio è la figura concettuale più idonea a definire la compresenza, nell’interiorità, di elementi, anche diversi e contraddittori, o semplicemente ambivalenti, strutturati in modo conscio o inconscio, associati secondo logiche diverse, ricchi di tonalità emotive. Viviamo le nostre esperienze nel tempo, ma le connessioni tra di esse, che sono la nostra storia, si strutturano e si intrecciano in “luoghi” della nostra mente.
Nel grande spazio della nostra interiorità si intrecciano le trame entro cui sono organizzate, associate significativamente e strutturate le conoscenze, le speranze, le emozioni, In esso opera il “software” (strutture cognitive, abilità intellettuali, paradigmi culturali ecc.) 11 con cui trattare le informazioni per poi elaborare e associare, valutare e scegliere, analizzare e creare. La costruzione della identità individuale viene ritagliata all’interno di questi spazi e in modo mai definitivo, all’interno di orizzonti limitati, contingenti, precari. Essa vi si intreccia come una fune 12. Si sviluppa dinamicamente attraverso cambiamenti continui, pur all’interno di “scene influenti di senso” che orientano significativamente il comportamento e l’atteggiamento di ciascuno. Il contesto del limite che circoscrive i confini della identità di ciascuno è da ritenersi aperto al cambiamento, in evoluzione, contenente un campo di possibilità ancora inesplorate, da conoscere e da elaborare, un orizzonte da dilatare secondo direzioni ancora ignote. La caducità e la precarietà di ogni “ritaglio”, nel tempo, dell’identità ne costituiscono anche la ricchezza, la rarità e la bellezza 13.
Gli apprendimenti sono piccole ristrutturazioni all’interno dello spazio della memoria culturale, affettiva, sociale di ciascun discente. L’apprendimento del filosofare coinvolge la totalità della persona, con il suo orizzonte culturale, esperienziale e relazionale, ricco e molteplice.
Ogni nuovo apprendimento si inserisce in una totalità interiore, che costituisce il “continuum” di senso entro cui si definiscono i confini e si orienta il cammino di ciascuno nell’esperienza, producendo cambiamenti, trasformazioni, ristrutturazioni, nuove associazioni di pensieri, nuove ridescrizioni del mondo, di sé, all’interno di determinate forme culturali di vita, mediante l’uso di diversi linguaggi.
Nel contesto “spaziale”, costituito dal patrimonio cognitivo, affettivo, culturale, si struttura l’ordine-disordine in cui gli elementi, nella loro pluralità coesistono, alcuni in modalità rigide, altri in modalità magmatiche, fluide. Questa compresenza ha l’orizzonte del tempo alle spalle e, al limite, soltanto nel futuro. I1 “prima” e il “poi”, nella sequenzialità con cui le esperienze sono state accumulate, non contano più quando essi coesistono in uno spazio in cui gli elementi si strutturano secondo logiche non temporali, che associano e dissociano, elaborando, così, nuovi possibili “luoghi” della psiche.
Voler ordinare, nel tempo sequenziale, logico del ragionamento sarebbe come voler far passare una porzione dello spazio interno per una strettoia obbligata, che le parole, i concetti, i giudizi dovrebbero attraversare “in fila indiana”, uno dietro l’altro, uno per volta 14. I1 singolo apprendimento si connette non con un singolo ricordo o elemento cognitivo, ma con una piccola totalità, in un topos, in uno spazio strutturato di esperienze e conoscenze, affettivamente significative.
Promuovere la riflessione filosofica negli allievi significa consentire la discesa nella profondità dei “luoghi” spaziali della interiorità di ciascuno, favorire le condizioni affettive più idonee e l’acquisizione consapevole delle strutture cognitive più efficaci per elaborare nuove associazioni, per costruire relazioni, confronti, analogie, o mediante l’applicazione di principi già acquisiti in altri contesti, o mediante l’uso di metafore di immagini e di rappresentazioni. Promuovere la riflessione filosofica significa anche aiutare ciascun allievo a “risalire” poi dalla profondità della propria interiorità “spaziale” attraverso lo stretto passaggio del ragionare logico coerente, non contraddittorio, analitico, argomentato, che si costruisce nella sequenzialità del tempo.
Il modello di razionalità filosofica si caratterizza per il fatto di tendere al massimo di chiarezza logica, realizzando il minimo di riduzione della complessità del problema che è oggetto della riflessione.
Il problema dell’insegnante allora è quello di promuovere la realizzazione delle condizioni didattiche che aiutino l’allievo a riflettere, a discendere nella propria interiorità, e a risalirne con qualcosa di buono, ragionando.
Lo spazio della comunicazione
Naturalmente si può definire in termini spaziali “il campo” della comunicazione del gruppo classe, in cui convergono le riflessioni, i pensieri e i ragionamenti di ciascun componente. Le potenzialità e le risorse intellettuali, cognitive ed affettive degli interlocutori sono compresenti, nella loro diversità, come possibili mezzi della dinamica comunicativa del gruppo. La comunicazione intersoggettiva mobilita, dinamicamente, gli elementi individuali e consente gli incontri, i confronti per nuove associazioni di idee e nuove elaborazioni originali rispetto alla somma dei contributi individuali. Il contesto relazionale del gruppo classe costituisce una “matrice” e, nello stesso tempo, un contenitore delle dinamiche di comunicazione entro una dimensione che è anche necessariamente “affettiva”. È uno spazio nuovo, che genera emozioni e potenzialità cognitive assolutamente originali, irriducibili alle opportunità individuali di riflessione ed elaborazione razionali. Del resto il modello dialogico e comunicativo dei filosofare di Socrate e di Platone, anche se con linguaggio e in contesti diversi, viene legittimato con argomentazioni non molto dissimili.
Anche la comunicazione costituisce una “riduzione” della complessità delle risorse di pensiero e di intelligenza, di immaginazione e di ricchezza emotiva, degli interlocutori. Il cammino della comunicazione filosofica in gruppo non è lineare ma spesso circolare; a volte “labirintico”. In ogni caso, se orientato da norme di comportamento consensualmente accettate, e orientato alla ricerca democratica della verità, giunge a produrre ragionamenti e discussioni raziona1i, argomentati, capaci di prospettare un ordine sensato e strutturato tra una pluralità di elementi riguardanti un problema filosofico. Ogni nuovo apprendimento si colloca quindi in un “continuum” spaziale peculiare sia dei singoli interlocutori, impegnati nella comunicazione, sia dell’intero gruppo, orientato allo svolgimento di un compito cognitivo e formativo. Il tempo dell’apprendimento-insegnamento deve allora essere curvato verso lo spazio, ora personale ora di gruppo entro cui Si configurano le operazioni e le esperienze della comprensione, dell’analisi e della sintesi, della rielaborazione personale creativa.
Gestione dei tempi e degli spazi nell’insegnamento della filosofia
La gestione dei tempi: la programmazione del lavoro
Nella programmazione annuale didattico-educativa, l’insegnante nelle varie unità didattiche previste, definisce gli obiettivi cognitivi affettivi, comportamentali e li distribuisce nella varie unità didattiche: così facendo egli già disegna una distensione dei tempi secondo Opportune scansioni. Il controllo, la verifica, la valutazione relativi al raggiungimento di determinati obiettivi, definiscono la chiusura di una unità didattica e l’apertura di un’altra. La modulazione della distensione dei tempi è quella richiesta non solo dai ritmi di insegnamento, ma anche da quelli di apprendimento da parte del gruppo classe, ovvero dalle modalità di appropriazione da parte degli studenti dei contenuti, delle abilità e dei comportamenti in cui si realizzano gli obiettivi.
Sono tempi che possono e devono essere previsti nel lavoro di programmazione, ma soltanto con approssimazione e relativa elasticità. Gli eventi educativi, che sono costituiti di una molteplicità di fattori, non tutti controllabili, non procedono in modo del tutto lineare. A volte procedono a zig-zag, a volte a spirale.
Se gli eventi educativi divengono esperienze, cioè veri e propri “viaggi” guidati, negli spazi dell’interiorità personale e della comunicazione intersoggettiva, e se, quindi, gli allievi non risultano essere degli spettatori ma dei soggetti protagonisti, partecipanti attivi al dialogo scolastico, allora anche il tempo dell’insegnamento più che come una via retta si configura come un labirinto, che consente di saggiare di volta in volta gli spazi già esplorati e di interrogarsi sulle nuove vie da percorrere.
Nell’insegnamento della filosofia questo assunto è da considerarsi particolarmente valido. Nelle varie fasi dell’attività didattica (l’apertura e la presentazione di un tema o di un problema, la sua contestualizzazione, l’approccio ai testi, la riflessione personale, la discussione in classe, la verifica, la valutazione), è, infatti richiesta una gestione dilatata, elastica e modulata del tempo, per il semplice motivo che la partecipazione e il coinvolgimento non possono che realizzarsi secondo i ritmi peculiari di un’esperienza di vita e di una sua elaborazione culturale di esperienze di vita. Delimitarne rigidamente i confini significa impedirne la stessa autentica realizzazione.
Naturalmente è necessario prevedere dei limiti massimi per ogni fase dell’attività didattica.
Fase d’apertura
In questa fase dell’attività didattica, di apertura dell’orizzonte di una questione filosofica, nel libero colloquio dialogico si cerca di definire il tema o il problema a partire dal linguaggio ordinario e
dalle esperienze di vita degli allievi. Le operazioni che si mettono in atto in questa fase implicano spontaneità, partecipazione, esposizione immediata delle idee e dei pregiudizi sul tema in discussione, si raccolgono molteplici formulazioni personali di concetti e di valutazioni, di solito ancora ingenue e poco rigorose, differendo temporaneamente il controllo e la valutazione delle affermazioni.
Il processo non può assolutamente esaurirsi in pochi interventi magari rapidamente coperti dalle considerazioni “esatte” dell’insegnante: ciò sarebbe la parodia di un autentico processo di apertura. Un autentico atteggiamento di ascolto nei confronti dell’allievo e di comprensione del suo orizzonte storico-esistenziale impone all’insegnante di lasciar emergere con fluidità idee, pensieri, anche singole percezioni o associazioni, differendo il giudizio di validità su di essi. Sarebbe molto più efficace l’uso di una semplice tecnica come quella del check list, o di strutture concettuali, magari espresse graficamente alla lavagna, che consentano la semplice esposizione di elementi che arricchiscano lo spazio della comunicazione in classe. Nel momento in cui la vita e i problemi degli studenti fanno il loro ingresso in classe, attraverso il linguaggio ordinario, per una problematizzazione di carattere filosofico, non sembra proprio il caso di bloccarne l’espressione, anche se in modo sparso e disordinato, ma sarebbe opportuno consentirne l’accesso nel luogo dove possa avvenire la loro elaborazione culturale consapevole ~5. L’ordine e gli argini strutturanti, entro cui far scorrere il flusso di idee espresse dagli studenti, devono essere costituiti delle norme, consensualmente accettate, della comunicazione filosofica in classe e, solo relativamente e parzialmente, dal tempo cronologico.
Di solito nel lessico della didattica tradizionale un tempo impiegato in questo modo si chiama “tempo perduto”.
Concettualizzazione e definizione provvisoria del problema
A quella della semplice raccolta delle idee, segue la fase della definizione provvisoria del problema in esame, passando dall’indeterminatezza del linguaggio ordinario e quotidiano degli studenti al rigore della concettualizzazione, all’interno del linguaggio filosofico. In questa fase, “forzare” i tempi vuol dire rischiare di rompere l’anello che congiunge l’ambito del mondo ordinario, quotidiano del giovane studente alla dimensione culturale della problematizzazione filosofica. La relativa continuità dell’itinerario tra senso comune e attività del filosofare non può essere data per scontata, ma va promossa e coltivata nell’attività didattica. Un passaggio troppo rapido e poco meditato tra il livello del linguaggio ordinario e quello del linguaggio filosofico, potrebbe determinare o una banalizzazione del linguaggio filosofico entro i luoghi comuni del linguaggio ordinario o la sovradeterminazione, dall’alto, dell’ambito problematico del quotidiano da parte del linguaggio filosofico, senza le dovute mediazioni. Sia in un caso sia nell’altro si renderebbe difficile l’incontro tra filosofia e vita dei giovani, e si alimenterebbe l’immagine di estraneità e di separatezza che spesso definisce l’insegnamento della disciplina nelle nostre scuole.
Problematizzazione e discussione
Questa fase comprende la definizione rigorosa del problema all’interno del linguaggio filosofico. A tale definizione si giunge mediante l’approccio ai testi con tutte le operazioni che vi sono connesse: la discussione analitica delle tesi e delle argomentazioni a suo sostegno, l’applicazione e il trasferimento dei principi, la valutazione critica e la rielaborazione creativa. Queste attività didattiche, svolte in un contesto comunicativo dialogico, democratico e aperto comportano l’alternarsi di momenti di profondità e momenti di scarsa ispirazione. Questa fase è il cuore stesso del processo dì apprendimento del filosofare in classe. Comprendere e interpretare, riflettere e analizzare, confrontare e paragonare, infine discutere, prima in piccoli sottogruppi, con i vicini di banco, poi nell’intero gruppo della classe: tali operazioni sono chiaramente incompatibili con i tempi imposti dal “mistico” circolo spiegazione-interrogazione, secondo il moto uniformemente accelerato scandito svolgimento del “programma” nella attuale didattica della filosofia.
Controllo, verifica e valutazione
Nelle attività di verifica, di controllo e di valutazione, i docenti sono, spontaneamente, orientati verso la rapidità dei processi e nutrono aspettative sull’immediatezza delle risposte alle domande che hanno posto agli allievi. Paradossalmente a volte si tiene conto della velocità e della rapidità delle risposte come elementi validi per la valutazione. Sembra quasi innaturale che gli studenti possano aver
bisogno di tempo per articolare le risposte. Non si tiene sufficientemente conto del fatto che l’interrogazione si fonda su domande e che qualunque domanda richiede un tempo opportuno per riflettere e strutturare risposte sensate. Non sempre la preparazione a casa può consentire di strutturare in anticipo il sapere appreso in modo da soddisfare tutte le domande possibili su un argomento, esaurendo la pluralità delle possibili articolazioni delle risposte. Del resto, se così fosse, il processo di insegnamento-apprendimento sarebbe un fatto di mera trasmissione di nozioni, meccanico, privo della vitalità peculiare dell’evento culturale, che implica sempre libertà, creatività, quindi una certa dose di imprevedibilità.
Promuovere condizioni di validità delle operazioni di verifica e di valutazione significa concedere agli allievi la serenità che deriva dal tempo a disposizione per rispondere, per muoversi con padronanza tra le cognizioni e i pensieri, negli spazi della propria cultura personale, per raccogliere e per unire esperienze, associare e dissociare costruire inferenze, ricostruire argomentazioni, valutare.
Gestire gli spazi della didattica della filosofia
Spazi interni
E necessario creare le condizioni in classe perché gli spazi interni degli studenti siano aperti, ricettivi, accessibili, permeabili, con linee di demarcazione poco rigide tra ambiti disciplinari, linguistici ed esperienziali diversi. I confini linguistici, epistemologici, che disegnano le identità peculiari delle regioni del sapere, svolgono un ruolo fondamentale nelle attività cognitive solo se assumono una funzione “egoica”, cioè strutturante, produttrice di equilibrato ordinamento del materiale appreso. Possono divenire invece negativamente riduttivi se rivestono una funzione “super-egoica”, che rende difficili le osmosi tra ambiti di sapere circoscritti da confini troppo rigidi, che incatena nozioni, pensieri, ricordi, emozioni ai luoghi originari della loro genesi e della loro strutturazione logico-affettiva impedendone disgiunzioni, erratici cammini, nuovi percorsi, nuove associazioni.
Il processo di costruzione della conoscenza presuppone ad un tempo un’apertura ed una chiusura del sistema cognitivo, un’interrelazione tra mondo interno e mondo esterno al soggetto, estraniazione-separazione e unione con sé 16, La “chiusura” dopo una ristrutturazione, cognitiva ed affettiva, determinata da un apprendimento, è funzionale al mantenimento e al nutrimento di una propria identità, al continuo processo di reidentificazione personale. La necessità di un’apertura verso l’esterno, per rendere possibile la comunicazione con gli altri, non elimina l’esigenza, del pari vitale, di proteggere sia la persistenza nel tempo di un’identità unitaria, peculiare e riconoscibile come unica, sia il “capitale memoriale ed organizzazionale delle conoscenze personali” 17.
Ciascuno ha un “domicilio” privato, interno, da salvaguardare, da cui osservare, controllare e valutare il mondo esterno secondo una prospettiva singola 18. Non c’è dubbio che la cultura, l’esperienza e la memoria di ciascuno siano di natura inter-soggettiva, sociale, nella misura in cui il linguaggio media il rapporto individuo-mondo, l’interno e l’esterno. È altrettanto indubitabile che in nessun caso la conoscenza umana potrebbe produrre alcunché di valido se si chiudesse alla comunicazione con il mondo esterno delle idee, delle esperienze, della cultura in generale. Ma è anche ugualmente imprescindibile l’esigenza di separarsi periodicamente dalle relazioni vitali che ci tengono legati al mondo esterno, quindi rientrare nel proprio interno, per ristrutturare e reidentificare i propri “spazi”. Il contesto positivo di “limite”, in cui ciascuno di noi è immerso, è ricco di possibilità oltre che di debolezze e carenze. La particolarità dell’individuo (anche se in rapporto dialogico ricorsivo con la totalità della dimensione culturale in cui egli vive), seleziona, elabora, trasforma, produce originalità di pensieri e di idee, sceglie e ridescrive le forme della propria vita in mezzo agli altri.
Alcune tra le finalità più significative dell’insegnamento della filosofia (la capacità di giudizio autonomo, la capacità critica, la creatività), divengono irraggiungibili, vuote petizioni di principio senza una prassi educativa che promuova la valorizzazione delle peculiari potenzialità cognitive, emotive, sociali di ogni singolo studente.
Allora, nella didattica della filosofia, è necessario dare la giusta importanza alla promozione, nello studente, della capacità di pervenire ad un’ottimale gestione del proprio “spazio interno”. Il filosofare evidenzia una funzione “egoica” nella misura in cui conferisce unità, ordine, compattezza (mediante la “leadership” che esercita la razionalità filosofica) ad un “campo” interno costituito di una molteplicità di cognizioni e di esperienze, di emozioni e di ricordi, strutturato da diversi codici linguistici, orientandolo verso la comunicazione intersoggettiva e verso il confronto con un principio di realtà. Abilità e strutture cognitive, capacità e modelli logico-argomentativi, paradigmi e lessico, contenuti e principi epistemologici del linguaggio filosofico offrono all’io la capacità di elaborazione di una complessità di elementi cognitivi ed affettivi, logici ed alogici, attraverso la tipica dimensione razionale, dialogica, discorsiva e argomentata del filosofare.
Gestione dello spazio esterno
Lo spazio in cui, in modo dominante, si realizza il processo di insegnamento-apprendimento della filosofia è naturalmente quello del gruppo classe, che è solo in senso esteriore uno spazio fisico. La classe è il luogo in cui un gruppo di giovani è orientato al conseguimento di un compito, l’apprendimento della filosofia e del filosofare, all’interno di una complessa rete di interazioni e di comunicazione tra allievi e docenti.
Anche la classe è un “campo” attraversato da dinamiche emotive che il docente di filosofia non può ignorare. L’insegnamento, in quanto tale, ha un carattere comunicativo, nella misura in cui costituisce “un sistema aperto e dinamico, di natura interattiva”, in cui allievi e docenti concorrono ad un’esperienza di crescita culturale morale e civile. Dal momento che il gruppo classe costituisce il contesto e il confine, il contenitore e la “matrice” delle esperienze di apprendimento e di comunicazione che si svolgono nel tempo dell’insegnamento, il docente di filosofia dovrebbe essere in possesso di un bagaglio professionale, che comprenda un minimo di conoscenze teoriche e, eventualmente, anche esperienziali, di dinamiche emotive di gruppo.
I docenti non sono certo né terapeuti né genitori dei giovani che educano, ma in quanto educatori dovrebbero avere l’obbligo, morale e deontologico, di conoscere le variabili, individuali e di gruppo, che entrano in gioco nelle esperienze educative, al fine di saperle comprendere, controllare ed, eventualmente, volgere verso l’ottimale realizzazione del suo compito istituzionale. Una seria preparazione psico-pedagogica metterebbe in condizione i docenti di commettere una minore quantità di errori, a volte distruttivi, di ridurre lo spreco di risorse a disposizione dell’evento educativo, consentirebbe loro una più serena ed efficace utilizzazione delle variabili per realizzare
le finalità tipiche dell’insegnamento. La formazione professionale dei docenti di filosofia, da questo punto di vista, è molto lacunosa per cui la didattica non può spiccare grandi salti di qualità.
Se poi si considera che lo spazio della classe è attraversato da diversi sistemi di relazione educativa e di comunicazione, tanti quanti sono i docenti che si alternano in essa, allora si dovrebbe riconsiderare seriamente l’importanza di una programmazione didattico-educativa che coinvolga l’intero corpo docente di un Consiglio di Classe. Il medesimo spazio della classe diventa disomogeneo, frammentato, contraddittorio, conflittuale, produttore di messaggi ambivalenti se non opposti, se è attraversato da strategie di insegnamento e di comunicazione non solo diverse, ma poco compatibili tra di loro. La didattica tradizionale è troppo ancorata al paradigma implicito dell’individualisrno didattico, mentre una didattica rinnovata esige maggiormente la collegialità, l’esercizio di “team teaching”, la programmazione multidisciplinare.
Lo spazio “chiuso” dell’aula e del gruppo classe rimane centrale per la realizzazione dei processi didattico-formativi, ma forse non è azzardato affermare che a volte, e soltanto in parte, rischi di sclerotizzarsi, riducendo le potenzialità delle variabili del processo educativo 19. Un tempo e uno spazio “ingessati” nell’aula impoveriscono le risorse dell’ambiente, interno ed esterno alla scuola. Bisognerebbe moltiplicare gli itinerari e i luoghi su cui far scorrere il “traffico” cognitivo, affettivo e sociale dei percorsi formativi 20, allargare gli orizzonti relazionali e comunicativi, verso esperienze che facciano incontrare la classe con altre classi, docenti con altri docenti.
Si dovrebbero moltiplicare progetti didattici che sviluppino livelli tematici multidisciplinari, che si avvalgano di opportunità offerte da un sapere strutturato e trasmesso con linguaggi diversi, con mezzi di comunicazione diversi, animato da una viva esperienza di ascolto, di comunicazione dialogica e di ricerca.
Un “traffico” aperto agli incontri programmati tra classi diverse, tra docenti di varie discipline intorno a nuclei tematici di interesse filosofico, arricchirebbe le opportunità educative degli allievi e la crescita culturale di tutti, docenti compresi. Il “traffico” naturalmente potrebbe diventare molto più intenso, a livelli prima mai conosciuti, con l’ingresso, nelle scuole, di tecnologie telematiche. I ragazzi potrebbero confrontarsi con nuovi interlocutori, nuovi docenti, essere motivati da prospettive di indagine diverse su uno stesso tema, ridimensionare e rielaborare le proprie esperienze e le proprie conoscenze, le proprie convinzioni e le proprie strutture cognitive a livelli sempre più impegnativi. Piccoli progetti che prevedano percorsi che si sviluppino lungo un itinerario che vada dalla visione di un film nella sala audiovisivi, ad un laboratorio di scienze, da una sala per seminari, dove ascoltare esperti e discutere, ad una biblioteca in cui leggere e far ricerca, con un po’ di fantasia e di buona volontà si potrebbero realizzare anche nelle nostre scuole.
Certo, incontri tra due o tre classi, in gruppi più allargati, provocano dinamiche relazionali emotive supplementari rispetto a quelle scatenate all’interno dei gruppo classe 21, e i docenti dovrebbero farsi carico di un onere particolare nel gestirle. Ma anche in questo senso la scuola è luogo di preparazione alla vita e, nello stesso tempo, esperienza di vita essa stessa. Imparare a confrontarsi con gli altri in gruppi allargati, ad ascoltare e a discutere democraticamente, a studiare e a fare ricerca in équipe, controllandone i risultati in comunità più ampie, esercitandosi ad applicare i principi, i contenuti, le abilità e gli atteggiamenti appresi nello studio della filosofia in spazi di frontiera, comuni o confinanti con quelli definiti da altri linguaggi disciplinari, in contesti comunicativi diversi e discontinui, risulta prassi formativa non solo da un punto di vista culturale, ma anche civile. E non è cosa di poco conto in tempi in cui le occasioni di formazione civile sembrano aver perduto un po’ ovunque, nelle nostre scuole, la quasi totalità del loro potenziale.
Note
1. F. Fabbroni, Manuale di didattica generale, cit., p. 96.
2. B. Grazzilli, Insegnamento. apprendimento. ruolo dell’insegnante, cit., p. 118.
3. F. Fabbroni, op. cit., p. 102.
4. M. Britt, L’apprendimento dell’astrazione, cit., pp. 1l e 12.
5. R. Mancini, Testo, dialogo. discorso: L’ermeneutica della didattica della filosofia, cit., p. 6.
6. C. Lasch, L’io minimo, cit.
7. G. Marramao, Kairòs, cit., p. 81; cfr. anche P. Barone, Il passato immemorabile, cit.; H. Giannini Iniguez, Di quel che accade e di quel che si racconta, cit.
8. G. Marramao, op. cit., p. 82.
9. M. Britt, op. cit., pp. 175-177.
10. G. Marramao, op. cit.; su questo tema, cfr. O. Marzocca, Filosofia dell’incommensurabile, Angeli, Milano 1989, in particolare pp. 30 ss.
11. E. Morin, La conoscenza della conoscenza, cit. 113; J. Bruner, Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, cit.; Id., Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, cit., Id., Verso una teoria dell’istruzione, cit.
12. A. Gargani, La filosofia post-analitica, cit., pp. 150- 151.
13. P. Barone, Il passato immemorabile, cit., p. 106.
14. E. Morin, cit.
15. D Antiseri, Il mestiere del filosofo, cit. pp. 19-23.
16. E. Morin, op. cit., p. 231.
17. Ibidem.
18. H. Giannini lniguez, Di quel che accade e di quel che si racconta, cit.; E. Trias, L’oltrepassamento della metafisica e il pensiero del limite, cit.
19. F. Fabbroni, Manuale di didattica generale, cit., p. 10.
20. Ivi, p. 12.
21 Cfr. L. Kreeger (a cura), Il gruppo allargato. Dinamica e terapia, cit., in particolare i saggi di S. Foulkes, Approccio psicoanalitico e problemi di gruppo, ivi, pp. 13-33; T.F. Main, Aspetti psicodinamici del gruppl allargatr, IVI, pp. 33-56; P. Turquet, Minacce all’identità del gruppo allargato, ivi, pp. 85-140; P. De Mare, La strategia dei gruppi allargati, ivi, pp. 141-154; M. Pines, Rassegna generale, ivi, pp. 293-313.