Quando si parla di lavasciuga si pensa subito ai classici elettrodomestici da 60 × 60 cm che occupano un’intera nicchia in lavanderia. Nel lessico commerciale, però, la parola “slim” indica quelle macchine progettate per ridurre soprattutto l’ingombro in profondità, mantenendo inalterata la larghezza frontale indispensabile a ospitare l’oblò da trentatré o trentacinque centimetri e il cestello standard. L’industria converte questa esigenza di spazio in due famiglie principali. La prima comprime la profondità portandola intorno ai 45 cm ma conserva l’altezza classica di 84–85 cm sotto il piano di lavoro e la larghezza di 59–60 cm; la seconda spinge la riduzione a 40–42 cm sacrificando qualche litro di volume interno in cambio di un profilo ancora più sottile per bagni stretti o ripiani sospesi. In entrambi i casi rimane costante lo “zoccolo” posteriore destinato a vasca, cuscinetti e circuito di asciugatura: chi pensa a una lavasciuga da infilare tra due muretti deve quindi ragionare su profondità reali che includano anche la curva del tubo di scarico e lo spazio di ventilazione.
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Larghezza: perché i 60 cm non cambiano quasi mai
Sul fronte, la misura di 59–60 cm rimane un dogma tecnico. L’oblò con cerniera da sette o otto pollici ha bisogno di un’apertura comoda sia per infilare le lenzuola sia per permettere il passaggio dell’aria calda nel ciclo di asciugatura. Ridurre la larghezza costringerebbe a rimpicciolire il cestello e, di conseguenza, a ridurre di molto la portata di biancheria. Per l’utente questo significa che, se pure la macchina è stata marchiata “slim”, occorreranno sessanta centimetri puliti di parete, libera da zoccolini o sporgenze, per installarla. Solo rarissime soluzioni “super slim” dai paesi asiatici scendono a 55 cm, ma si tratta di modelli monovolt volutamente pensati per mercati dove la metratura domestica è ancora più scarna e l’oblò ridotto non crea problemi perché il bucato tipico è fatto di capi di piccole dimensioni.
Profondità: il vero ago della bilancia
Il miglior modo di capire cosa significhi la profondità dichiarata è poggiare il metro al pavimento, contro la parete, e misurare fino al bordo più esterno dell’oblò. Su una lavasciuga “standard” il valore è 56–60 cm più l’aggiunta di tre o quattro centimetri per tubo acqua e gomito di scarico. Sulla versione slim la scocca arretra: i modelli da 45 cm effettivi si traducono in circa 48–49 cm totali una volta collegati i tubi. I modelli da 40–42 cm di vasca arrivano a 44–46 cm complessivi. A far la differenza è l’ingegnerizzazione della vasca e l’alloggio del motore inverter, spesso spostato leggermente verso il basso per recuperare qualche prezioso millimetro. Per chi deve infilare la macchina dietro una porta a libro, quei quattro centimetri rappresentano la soglia tra l’apertura agevole e l’impossibilità di far ruotare l’anta.
Altezza: perché resta ancorata agli 85 cm
L’altezza di 84–85 cm non varia quasi mai, a meno che il costruttore non abbia scelto gambe accorciabili a scomparsa. Il motivo è doppio: da un lato le normative europee fissano a quell’altezza la posizione ergonomica del cassetto detersivi e dei comandi; dall’altro la vasca, per centrifugare senza vibrare, ha bisogno di un baricentro ben preciso rispetto ai piedini. Ridurre l’altezza significherebbe abbassare la vasca o rinunciare al motore Brushless in posizione posteriore, sacrificando stabilità e velocità di centrifuga. In commercio esiste qualche macchina “compact” da 72 cm di altezza, ma rinuncia al modulo asciugatura e rientra dunque nella categoria delle lavabiancheria compatte piuttosto che delle lavasciuga slim.
Capacità di carico: il compromesso inevitabile
Ridurre la profondità comporta un cestello meno profondo e un volume netto inferiore. Dove la lavasciuga standard offre 8 kg di lavaggio e 5 kg di asciugatura, la slim da 45 cm scende di solito a 6 kg di lavaggio e 4 kg di asciugatura, mentre quella da 40 cm arriva a 5 kg/3 kg. Il diametro interno resta circa lo stesso perché imposto dalla larghezza, ma la lunghezza del cestello diminuisce. L’effetto pratico si avverte con lenzuola e piumoni matrimoniali, che faticano a dispiegarsi generando un ingolfamento che il sensore di bilanciamento penalizza con giri di centrifuga ridotti. Chi ha famiglia numerosa deve quindi mettere in conto cicli più frequenti o l’impossibilità di asciugare nella stessa sessione tutto quanto è stato lavato.
Piano d’appoggio, zoccolini e raccordi: i centimetri nascosti
Chi installa la lavasciuga slim sotto il top della cucina dovrà misurare lo spessore del piano e la presenza di traversi posteriori: la macchina da 45 cm potrebbe non entrare se la traversa sporge di tre centimetri. Analogamente gli zoccolini che sporgono di un paio di centimetri dal muro rubano lo spazio guadagnato, costringendo a far uscire l’elettrodomestico più avanti con un effetto estetico sgradevole. Un trucco diffuso tra gli installatori è “scavare” nella parete una nicchia per la curva del tubo di scarico e per la presa Schuko, guadagnando i preziosi centimetri che portano la profondità percepita sotto i cinquanta.
Spazio di aerazione e vibrazioni: i millimetri che fanno la differenza
La scopa con straccio infilata dietro la lavasciuga non è solo scomoda: può ostruire la griglia di ventilazione posteriore e impedire la convezione d’aria che raffredda il motore e la serpentina di asciugatura. Il manuale raccomanda sempre due centimetri sul retro e uno per lato. Nelle nicchie strette si può ridurre a un centimetro e mezzo montando distanziatori rigidi che impediscano alla macchina di toccare la parete durante spinte e vibrazioni. L’errore più diffuso è spingere l’elettrodomestico finché l’oblò appare a filo ante: in fase di centrifuga la macchina arretra di qualche millimetro e i piedini toccano il muro, trasferendo vibrazioni che si amplificano in rimbombo.