Risulta essere un principio generalmente accettato tra insegnanti e allievi, ma anche un’idea diffusa tra i “non addetti ai lavori”, che a scrivere bene si impari leggendo molto. Spesso il genitore che si reca al colloquio con l’insegnante d’Italiano del figlio, di fronte a una valutazione non proprio positiva del modo di scrivere del ragazzo, afferma: «È vero. Scrive male perché legge troppo poco!».
L’affermazione non è così banale come potrebbe sembrare: ha anzi motivazioni profonde legate alle modalità del processo di scrittura, e sarebbe utile analizzare in che senso il buon lettore è anche, spesso, uno scrivente competente. In questo momento però mi interessa affrontare il problema del rapporto tra lettura e scrittura da un altro punto di vista (in realtà non opposto, ma complementare al primo). La domanda è allora: il ritornare a pratiche di scrittura previste già dalla retorica classica, quali la riscrittura (paráphrasis) e la scrittura per imitazione (imitatio), è pratica didattica lecita e soprattutto efficace, cioè in grado di generare competenze? E le competenze generate sono solo di produzione scritta o anche ricettive, relative alla lettura e all’analisi del testo?
Lo studio psicologico del processo di scrittura ci dice che chi scrive lo fa sempre (ad eccezione dei primissimi stadi, in cui il bambino scrive “come gli viene”, in quanto percepisce differenze assai limitate tra modi della comunicazione scritta e modi della comunicazione orale) avendo in mente un modello,più o meno preciso, di riferimento. Nel magazzino mnestico in cui lo scrivente va a documentarsi per svolgere il suo compito di scrittura, egli ritrova non solo contenuti d’esperienza, ma anche “modelli”, o addirittura “formati testuali”: ritrova cioè una serie di “istruzioni”per scrivere una lettera, un racconto, una descrizione. Questi modelli, che possono essere più o meno articolati, precisi, vincolanti, che possono contenere o no delle sotto-istruzioni che ne dichiarino la pertinenza in determinate situazioni per certi scopi comunicativi, sono molto spesso il derivato di un’analisi spontanea o didatticamente condotta di testi letti: e in questo senso l’affermazione iniziale che prima di essere buoni scriventi bisogna essere buoni lettori si mostra valida, perché dall’abitudine a leggere testi si ricava non solo una sorta di inventario degli argomenti “adatti”a un certo tipo di testo e a determinati scopi comunicativi, ma anche delle conoscenze sulle strutture testuali. Potremmo dire, nei termini propri della retorica, che dalla lettura non solo è favorita l’inventio, ma grazie a essa si apprendono anche “esempi”e regole generali riguardanti la dispositio e l’elocutio (2), e il linguaggio “monovalente”dell’uso comune.
Chi ha esperienza d’insegnamento con ragazzi di Scuola media inferiore o anche del Biennio della Scuola media superiore sa come sia difficile spostare, in fase di lettura di un racconto o di un romanzo, l’attenzione del giovane lettore dai contenuti, e spesso dalla pura e semplice fabula, alla costruzione narrativa, alle scelte linguistiche, all’uso delle “figure”. E naturalmente possibile, e abitualmente lo si fa, insegnare all’allievo, attraverso un’analisi testuale, una “grammatica”del racconto, come è possibile far rilevare determinate scelte lessicali dell’autore e far individuare figure di linguaggio: ma spesso si ha poi l’impressione che la valutazione da parte del ragazzo del testo letto sia del tutto indipendente da questo approfondimento dell’analisi, da queste conoscenze aggiuntive: è come se il senso del testo fosse ricostruito e interpretato solo attraverso una selezione dei contenuti dello stesso, “scartando”del tutto le modalità di espressione. Il testo letterario in questo modo si appiattisce su un solo livello, non diventa diverso da qualunque testo puramente denotativo e su queste basi è veramente difficile favorire, soprattutto per quegli allievi che leggono solo a scuola, una sia pur iniziale evoluzione del gusto.
Partendo dal principio della didattica attiva che “chi fa, capisce”si può affrontare il problema anche per un’altra strada, che ha il pregio di collegare più strettamente significante, significato e senso e che prevede una lettura attenta del testo, una sua riproduzione e un ritorno, più consapevole, al testo stesso. Tale processo è quello della parafrasi (intesa però non come spiegazione ma come riscrittura) di testi letterari e della imitazione, cioè della costruzione di testi scritti “creativi”(dove creativi ha il significato di “non puramente di tipo referenziale-denotativo”e anche di “rispondenti a una convenzione estetica e non a un uso immediato”), imitando, o comunque utilizzando come stimolo-materiale di partenza, un testo dato. Questo processo, che è stato largarnente usato negli ultimi anni da insegnanti in attività curricolari e in “laboratori di scrittura”(3), può riguardare tanto testi di tipo poetico quanto testi di tipo narrativo (in particolare il racconto); gli obiettivi non cambiano radicalmente nei due casi, perciò mi limiterò qui a esporre alcune considerazioni sul secondo caso: la riscrittura e/o l’imitazione rispetto a un racconto.
La riscrittura
La riscrittura di un testo può essere proposta in modi molto vari: tra i più utili vi possono essere l’alterazione della dispositio, cioè dell’ordine delle parti, con il passaggio ad esempio da un “ordine artificiale”a un “ordine naturale”o viceversa; un altro modo di riscrittura può essere quello di chiedere agli allievi di eliminare elementi del testo o aggiungere elementi coerenti all’insieme. Un terzo modo, di grande interesse, è quello di mantenere i contenuti del testo, cambiando però del tutto lo stile.
La riscrittura in ordine cronologico di una novella con intreccio complesso e utilizzo di analessi (flashback) non solo porta il ragazzo a interrogarsi sulle tecniche narrative utilizzate dall’autore per rendere interessante il racconto, ma lo obbliga anche a porsi domande sul punto di vista da cui la storia è narrata e a porre il problema centrale della selezione dei dati e del rapporto tra “detto”e “implicito”.
Un esempio di questo processo può essere la riscrittura di un testo basato su una soluzione “intrigante”di dati esplicitati e di altri lasciati impliciti e sul conseguente rovesciamento delle aspettative del lettore: si pensi ad esempio al notissimo racconto di fantascienza Sentinella di Frederic Brown. Quando il ragazzo ha compreso a fondo, manipolando il testo, quali siano le caratteristiche della “macchina”narrativa, è poi facile chiedergli di costruire, a imitazione, altri testi che giochino sullo “spiazzamento”del lettore;così come diviene facile fargli ritrovare lo stesso meccanismo, usato in modo più sofisticato, in altre novelle e racconti: con un aumento dunque della capacità di scrittura e di quelle di lettura e analisi del testo (oltre che con unabuona dose di divertimento da parte dei ragazzi, il che certo non guasta).
L’esempio più famoso di una riscrittura che riguarda in particolare (ma non solamente) l’elocutio è quello degli Esercizi di stile di Queneau (4): non esiste praticamente laboratorio di scrittura in cui ai ragazzi non sia stato proposto di riscrivere la storia del passeggero dell’autobus con un bottone di meno “come se”la narrasse un. .., o per ottenere un effetto umoristico, drammatico. .., o utilizzando solo un determinato tipo di lessico o di figure retoriche. Utili appaiono quelle permutazioni che riguardano l’uso di ben precise figure o generi (è un modo divertente di imparare che cosa siano il chiasmo piuttosto che l’apostrofe, o addirittura il sonetto e l’ode), ma anche, e forse soprattutto, quelle che sono piuttosto collegate al punto di vista del narratore. Già a livello di Scuola media inferiore è possibile far riscrivere un testo “neutro”per ottenerne effetti comici o melodrammatici, in un linguaggio formale o gergale: la successiva analisi di come Queneau-Eco abbiano affrontato il problema porta l’attenzione sugli indizi linguistici che connotano un punto di vista, uno stile o un genere, con l’acquisizione dunque di una consapevolezza formale che, si diceva, è l’obiettivo centrale di questo tipo di lavoro.
La scrittura per imitazione
A un livello superiore di consapevolezza dell’allievo può essere proposta la vera e propria imitazione di un testo: c’è chi suggerisce che inizialmente l’imitazione avvenga «attraverso la lettura, rilettura ed eventuale memorizzazione; assimilazione quindi in un certo senso automatica» del testo (5). L’imitazione, intesa in questo senso, sarebbe essenzialmente riproduzione di stilemi acquisiti quasi per osmosi, in modo semi-consapevole. Già a questo livello sono comunque possibili imitazioni più “globali”: lo spazio non permette un’esemplificazione, ma esperienze interessanti possono riguardare, ad esempio, la modellazione su incipit di racconti: la presentazione dell’ambiente che fa da sfondo al protagonista, il protagonista in primo piano presentato dall’esterno o che si presenta da sé, il protagonista in azione, lo stesso presentato attraverso una sequenza dialogica sono tutti modelli che possono essere proposti per un’imitazione già in una seconda-terza media e che permettono poi un’analisi degli effetti che ognuno di questi incipit crea nel lettore e del modo in cui esso “condiziona”, almeno in parte, lo sviluppo successivo del racconto. L’imitazione “per osmosi”e quella “per analisi”possono essere viste, invece che come momenti separati, come fasi di un processo per cui il lettore-scrivente prende un primo contatto con il testo, ne riproduce alcuni aspetti “esterni”, ritorna al testo per comprendere come tali aspetti siano portatori di un significato non esplicito e non immediatamente ricavabile, interpreta il senso del testo coordinando gli indizi testuali alla luce dell’esperienza di scrittura che egli stesso ha fatto, esprime infine un suo “senso”attraverso moduli e stilemi ripresi dallo scrittore analizzato.
Certo, non è necessario provarsi a descrivere una “città invisibile”per capire la rete di significati e di simboli che sta dietro Le città invisibili di Calvino; ma provare a usare i ferri del mestiere dello scrittore, a inventare una serie di variazioni su un tema fissato, sembra fornire, anche a quindici anni, una capacità critica, di discernimento e di padronanza del testo che la sola lettura non basta a dare. Se la lettura del testo è cooperazione tra scrittore e lettore, mi sembra conveniente chiudere queste riflessioni con un ideale dialogo a due voci tra la città nascosta di Calvino e quella di Daniele (4º ginnasio)
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Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. (…) Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa…
(Italo Calvino)
Non è felice la vita a Raissa. Le anziane signore, con un vecchio scialle sulle spalle, scopano la polvere nel cortile del vicino; i facchini in cima alle scale di ogni albergo, appesantiti dal carico, lasciano cadere i bagagli sui piedi dei passanti; i vigili urbani, bramosi di fare una multa, attendono dietro ogni angolo una macchina che trasgredisca la legge. (…)
Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un gatto che miagola al padrone felice per la vincita con la schedina acquistata nel bar dove un giorno un bambino, passando in bicicletta disse: “Voglio un gelaio alla fragola “allo zio…
(Daniele T.)
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Note
(1) I termini, mutuati dalla retorica classica, indicano rispettivamente la ricerca e il ritrovamento degli argomenti da trattare (inventio) la partizione e l’ordinamento dei contenuti (dispositio), il modo di dare forma linguistica ai contenuti (elocutio): è interessante notare come queste fasi corrispondano assai da vicino a quelle di un noto modello psicologico sul processo di scrittura, elaborato da Hayes e Flower, che comprende le fasi della generazione delle idee, della pianificazione e della traduzione linguistica (cfr J. R. Hayes- L. S. Flower Identifying the organization of Writing Processes, in L. W. Gregg-E. R. Steinberg (eds.), Cognitive Processes in Writing, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale, NJ, 1980).
(2) « I sensi secondari (ove la secondarietà va intesa in senso logico e non va certo riferita a una gerarchia di importanza) corrispondono di massima a ciò che correntemente si chiama “connotazione”. (…) I sensi secondari vengono costruiti attraverso procedure essenzialmente inferenziali, in quanto non sono esplicitamente dichiarati nel testo. Possiamo anzi dire che il lettore può procedere alla loro scoperta solo se assume che il testo possa voler dire di più di quanto risulta a un livello denotativo» (M. Della Casa La comprensione dei testi, Franco Angeli, Milano, 1987, p. 1-5).
(3) L’esempio più noto è quello del laboratorio di scrittura dei ragazzi di Omegna, tenuto da Ersilia Zamponi, nel quale si mescolano attività in cui le tecniche retoriche vengono proposte in forma ludica e altre di vera e propria imitazione dei testi. Alcuni contributi interessanti sulla “riscrittura”sono presenti in Scrivere nella scuola media superiore, a cura di M. G. Lo Duca, “Quaderni del Giscel”9, La Nuova Italia Firenze, 1991 (ricordiamo gli articoli del Gruppo Giscel Veneto, del Giscel Campania e quello di Baruffaldi-Cortellini-Sabatino). Si vedano inoltre i due articoli in cui Monica Longobardi riferisce sulle attività di scrittura dell’ “Opificio Letterario di Lugo”, in “Italiano e oltre”, rispettivamente, 1989, n 5 e 1990 n. 3.
(4) R. Queneau, Esercizi di stile, traduz. di U. Eco, Einaudi, 1983.
(5)Cfr.a questo proposito l’interessante contributo del Giscel Veneto, L’uso della descrizione nei testi: analisi e itinerari didattici in Scrivere nella scuola media superiore, cit. Da tale contributo è tratto anche il testo di Daniele T., posto in chiusura di questo articolo.